Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani 2019
Per chi viene il Regno di Dio?
di Italo Benedetti
(22 gennaio 2019 - Parrocchia di Pantano - Civitavecchia)
Luca 4:14-30
14 Gesù, nella potenza dello Spirito, se ne tornò in Galilea; e la sua fama si sparse per tutta la regione. 15 E insegnava nelle loro sinagoghe, glorificato da tutti.16 Si recò a Nazaret, dov'era stato allevato e, com'era solito, entrò in giorno di sabato nella sinagoga. Alzatosi per leggere, 17 gli fu dato il libro del profeta Isaia. Aperto il libro, trovò quel passo dov'era scritto:
18 «Lo Spirito del Signore è sopra di me,
perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri;
mi ha mandato per annunciare la liberazione ai prigionieri
e il ricupero della vista ai ciechi;
per rimettere in libertà gli oppressi,
19 per proclamare l'anno accettevole del Signore».
20 Poi, chiuso il libro e resolo all'inserviente, si mise a sedere; e gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di lui.
21 Egli prese a dir loro: «Oggi, si è adempiuta questa Scrittura, che voi udite». 22 Tutti gli rendevano testimonianza, e si meravigliavano delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca, e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?» 23 Ed egli disse loro: «Certo, voi mi citerete questo proverbio: "Medico, cura te stesso; fa' anche qui nella tua patria tutto quello che abbiamo udito essere avvenuto in Capernaum!"» 24 Ma egli disse: «In verità vi dico che nessun profeta è ben accetto nella sua patria. 25 Anzi, vi dico in verità che ai giorni di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e vi fu grande carestia in tutto il paese, c'erano molte vedove in Israele; 26 eppure a nessuna di esse fu mandato Elia, ma fu mandato a una vedova in Sarepta di Sidone. 27 Al tempo del profeta Eliseo, c'erano molti lebbrosi in Israele; eppure nessuno di loro fu purificato; lo fu solo Naaman, il Siro».
28 Udendo queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni d'ira. 29 Si alzarono, lo cacciarono fuori dalla città, e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale era costruita la loro città, per precipitarlo giù. 30 Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.
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Grazie dell’invito e dell’accoglienza in questa parrocchia; un caro saluto a tutto il popolo cristiano raccolto qui e a tutti i ministri delle diverse chiese rappresentate, ringrazio il vescovo don Luigi Marrucci della sua presenza e Felice e Lucia Mari che tanto si adoperano perché questa settimana di preghiera riesca così bene.
Mi sono preso la libertà di allargare il testo della predicazione al suo contesto perché mi pare essenziale alla sua comprensione. In particolare, così si capisce lo schema degli avvenimenti raccontati; per esempio, che ci sono due discorsi di Gesù e due reazioni alle sue parole. L’insieme compone un unico messaggio, che non è un banale “ricordatevi dei poveri” …
Dopo essersi fatto battezzare da Giovanni battista nel Giordano e dopo aver superato le tentazioni nel deserto, Gesù ritorna in Galilea, la sua regione di provenienza. Là predica e compie opere potenti acquistando fama e riconoscimenti. Nel suo giro include anche Nazareth, la città nella quale era cresciuto e aveva sempre vissuto. La sinagoga nella quale predica doveva essere quella nella quale era cresciuto; piena di zii e parenti, amici di famiglia, cugini e compagni, ma anche i genitori, i fratelli e le sorelle (…). Entrato, segue lo svolgimento consueto del rito della sinagoga, gli porgono un rotolo dal quale deve leggere la lezione del giorno e poi commentarla. Il rotolo che gli tendono è quello di Isaia, dal quale legge i primi due versetti del capitolo 61. Lo legge in piedi, poi riconsegna il rotolo all’attendente, si siede e tutti si dispongono all’ascolto.
Nel suo discorso, Gesù applica a sé stesso le parole del profeta e dice che c’è una buona notizia per i poveri, i prigionieri, gli ammalati e gli oppressi; che lo Spirito di Dio lo ha investito e lo ha unto per portare questa buona notizia e proclamare che questo sarà l’anno della benevolenza di Dio; che la parola del profeta si realizza lì, davanti ai loro occhi. La profezia di Isaia risulta una sorta di programma, di manifesto del ministero di Gesù appena iniziato.
Le cose vanno alla grande, viene detto che «tutti gli rendevano testimonianza, e si meravigliavano delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca». Tutti! Questa non è l’unica volta in cui nel vangelo di Luca viene detto che la reazione al messaggio di Gesù è caratterizzata da meraviglia, ammirazione e stupore, “ma questo non è il figlio di Giuseppe il falegname?” Questa è la reazione genuina, appropriata, autentica, adeguata alla buona notizia che Dio è all’opera nel mondo in Gesù: meraviglia, ammirazione, stupore. È la reazione che dovrebbe provocare in noi la lettura del vangelo, il suo ascolto. Dovremmo essere affascinati da Gesù. Comunque, la comunità di Gesù accoglie con favore ed orgoglio le parole di questo loro figlio: “quanta povertà e ingiustizia c’è per le strade della nostra povera città, quanti sono in prigione, quanti ciechi, quanti lebbrosi, quanta oppressione da parte dei romani” …
Ma i compaesani di Gesù ancora non sanno quello che sappiamo noi, cioè che Gesù non è esattamente il figlio di Giuseppe il falegname, ma è il Figlio unigenito di Dio, la Parola di Dio incarnata, il Cristo. Il suo ministero non ha né come obiettivo, né come priorità la comunità di Nazareth. Gesù, che ha capito l’equivoco in cui sono caduti i suoi parenti e compaesani, è costretto a fare un secondo discorso, con due punti:
1. Cita un proverbio: «Certo, voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso; fa’ anche qui nella tua patria tutto quello che abbiamo udito essere avvenuto in Capernaum!”» che più o meno significa: “se tu sei la realizzazione di tutte queste promesse, è in mezzo a noi, nella tua patria, nella tua comunità, che devi – prima di tutto – operare con la tua potenza. Non è che prima dici che sei il compimento delle promesse profetiche e poi te ne vai altrove senza che noi beneficiamo della tua potenza!” Ma Gesù, incomprensibilmente, rovina tutto il clima di sostegno che aveva creato, annunciando che a Nazareth non avrebbe compiuto alcun segno: «In verità vi dico che nessun profeta è ben accetto nella sua patria».
Per capire bene bisogna notare due cose: la prima è che Gesù con questo proverbio afferma di essere un profeta: “ah… e quand’è che sei stato unto profeta?” si chiedono i suoi compaesani e parenti.
La seconda cosa da notare è questa, che un profeta è qualcuno che, essendo parte della comunità di fede, è chiamato da Dio a portare – alla comunità alla quale appartiene – la rivelazione della volontà di Dio. Nondimeno è vero che tutti i profeti furono perseguitati e molti uccisi. Il significato di questa affermazione non è quindi che per essere ascoltato un profeta deve essere un estraneo o un forestiero, ma che un profeta non è accettabile alla comunità alla quale appartiene perché dice cose scomode per la comunità. Il profeta non consola la comunità (a quello ci pensano i pastori, i preti e i rabbini) il profeta la affligge. Il profeta non è legato alla propria terra, è prima di tutto legato alla volontà di Dio! Questo è il problema.
2. Nel secondo punto del discorso Gesù fa due riferimenti all’Antico Testamento, il primo è la storia del profeta Elia a Serepta di Sidone dove ad una donna e a suo figlio pagani compie il miracolo dell’olio e della farina che non si esauriscono mai e poi risuscita il bambino morto. Il secondo riferimento biblico è quello del profeta Eliseo che guarisce il generale siriano (quindi pagano) Naaman dalla lebbra. È a questo punto che la situazione a Nazareth precipita, “e che c’entra adesso questo discorso sui pagani?” si chiede la gente.
Cerchiamo di capire bene cosa dice Gesù nella sinagoga di Nazareth. Avete notato che nel testo c’è un gioco di parole? Il testo di Isaia parla di «proclamare l’anno accettevole del Signore» e il proverbio citato da Gesù dice che «nessun profeta è ben accetto nella sua patria». La stessa parola: dektos. Gesù sta dicendo: “voi dite di aspettare l’anno accettevole del Signore, ma poi, quando arriva, non lo accettate, non siete pronti ad accoglierlo”. «L’anno accettevole del Signore» non viene per compiere i desideri umani, ma la volontà di Dio. «L’anno accettevole del Signore», cioè il regno di Dio che Gesù predica, non è offerto unicamente a Israele, ma è destinato a quanti cercano giustizia: poveri, prigionieri, ciechi, oppressi, siano essi giudei o pagani. L’obiettivo è più ampio di Nazareth, e anche di Israele, e la priorità non sono i nostri poveri e i nostri bisognosi, ma il ristabilimento della giustizia sulla faccia della terra che Dio ha creato. “Se questo equivoco vi scandalizza, se vi pare inaccettabile, l’evangelo andrà a chi lo accoglie, fossero pure i pagani”.
Come c’è stato un primo discorso di Gesù e poi una reazione della sinagoga, ora, al secondo discorso di Gesù corrisponde una seconda reazione della sinagoga. Le cose si mettono male. Fino ad ora tutto sembrava filare liscio, che cosa succede poi perché la mite comunità di Nazareth si trasformi in una plebaglia che tenta addirittura di uccidere colui che osannavano fino a un momento prima? Succede che di fatto Gesù ha detto alla sua comunità: “Dio non viene per voi!” “Come, Dio non viene per noi, e per chi altri dovrebbe venire!?” Questa vicenda di Gesù nella sinagoga di Nazareth sembra una anticipazione di ciò che accadrà alla fine, quando Gesù verrà rifiutato, verrà abbandonato da tutti, resterà solo e sarà preso, umiliato e crocifisso. Esattamente ciò che dice Giovanni nel prologo al suo Vangelo: «E’ venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto» (Gv.1:11).
La buona notizia di oggi è che Gesù porta un Regno dove coloro che cercano giustizia: i poveri, i prigionieri, i ciechi e gli oppressi, la troveranno. Per questo siamo chiamati a condividere questa sollecitudine di Gesù per gli emarginati, i vulnerabili, quelli che sono fuori dei confini delle nostre chiese. Respingere il riguardo per costoro significa sostanzialmente rifiutare Gesù. Noi vogliamo rifiutare Gesù?! Non sia mai! Allora dobbiamo chiederci: la nostra fede, quella con cui orientiamo i nostri pensieri, quella con cui misuriamo le nostre parole, quella con cui prendiamo le nostre decisioni di vita, quella con cui compiamo le nostre azioni quotidiane; insomma, la fede che professiamo: è una buona notizia per i poveri? desidera la liberazione dei prigionieri? è capace di guarire? contempla la liberazione degli oppressi? Perché, se dovessimo scoprire che la nostra fede non ha né gli obiettivi, né le priorità che Gesù si poneva, rischieremmo di ripetere ciò che è avvenuto alla sinagoga di Nazareth, e cioè che là fuori ci sono quelli a cui è destinato il Regno e qui dentro quelli che ne rimarranno esclusi. Se non vogliamo che siano proprio le cose in cui crediamo a contraddire Gesù; se non vogliamo che siamo proprio noi – quelli a cui Gesù è stato dato – a rifiutarlo; dobbiamo ricordare che Gesù non viene per realizzare i nostri desideri, ma per realizzare la volontà di Dio; che Gesù non rispetta le nostre priorità, ma quelle di Dio; che noi credenti siamo chiamati a condividere, con la mente e con il cuore; a approvare, con i pensieri e con i fatti; a favorire, con le decisioni e con le azioni, la volontà di Dio.
Paolo dice: «Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà» (Rm. 12:2). A noi è richiesto un cambiamento, una trasformazione, un rinnovamento della nostra mente affinché possiamo NON piegare la volontà di Dio alle nostre aspettative, ma accogliere con gioia, con attesa, con entusiasmo questo messaggio, che non è: “ricordatevi dei poveri”, ma: “ricordatevi che il Regno di Dio viene per i poveri”. AMEN
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